La Padania, Italia
30 Ottobre 2004
Turchia: è la sinistra che dovrebbe opporsi
GIOVANNI FACCINI
Innanzi tutto mi consenta di farle i miei più entusiastici
complimenti per la sua nomina o riconferma al Parlamento Europeo dove
però, ahinoi, la situazione rischia di divenire pericolosa.
L’imperativo categorico del momento deve essere per tutti noi, forse
anche per Lei: inficiare quel subdolo tentativo in atto con cui si
cerca di fare passare per legittima e benefica una decisione che
sarebbe invece destinata a annientare tutti i popoli europei.
Ecco perché Lei cade proprio a fagiolo, vale a dire in questo momento
e dalla parte di chi, come il sottoscritto, sta cercando d’esortare
chiunque, anche politico professionista, abbia la necessaria dose
minima di coraggio per dichiararsi contrario a quel demenziale nonché
letale progetto volto a consentire l’adesione della Turchia alla
nostra Unione Europea.
Illustrissimo Onorevole Bertinotti, quest’iniziativa è stata
concepita, architettata, avviata dai soliti astutissimi poteri forti.
Bisogna arrestarla, bocciarla definitivamente.
I primi ad essere colpiti e danneggiati, infatti, se entrasse la
Turchia con paritetico diritto legislativo e esecutivo, sarebbero
proprio quei Lavoratori che voi così abilmente proclamate di volere
difendere. È evidente che qualsiasi ulteriore ampliamento dell’Unione
Europea ad altri paesi, appunto come la Turchia, già oltremodo
caratterizzati da pesantissimi problemi politici e socio-economici
d’ogni genere e dimensioni, in particolare soggetti a ormai
incontrollabili e incontrollate spinte migratorie, come quelle che
siamo obbligati a intravedere quasi ogni giorno, non farebbe che
complicare e peggiorare l’esistenza di chi, da noi, già oggi si trova
in fortissime difficoltà persino nel drammatico tentativo di pura
sopravvivenza.
Ecco perché, ora più che mai, è assolutamente indispensabile che i
più alti esponenti politici e sindacali scendano in campo nella più
strenue difesa dei Diritti dei Lavoratori.
Chi più di Lei avrebbe l’esperienza, la conoscenza e l’indipendenza
intellettuale e morale necessarie per ergersi in difesa dei Diritti
dei Lavoratori che, ancora una volta, stanno per essere così
platealmente e barbaramente ignorati, disattesi, mistificati,
danneggiati, se non addirittura travolti dal più spregevole
mercimonio politico e socioeconomico di tutte le epoche civili
conosciute?
Alludo a ciò che io stesso ho denominato “Questione Turca”, quel
progetto per il quale la Commissione esaminatrice di Bruxelles ha
emesso un primo parere favorevole, che dovrà poi essere seguito dalla
decisione che il prossimo consiglio dei ministri dovrà prendere il
prossimo 17 dicembre, sulla cui base si dovrà poi sancire l’avvio di
formali trattative finalizzate all’ammissione a pieno titolo della
Turchia nell’Unione Europea.
A parte il fatto che la Turchia con l’Europa c’entra pochino,
quand’anche riuscisse a convincerci d’essersi sinceramente avviata
lungo un percorso di riforme istituzionali rigorosamente
democratiche, e magari anche a riconoscere pubblicamente il genocidio
armeno, e magari persino decidesse di liberare Ocalan, per non
parlare di tutta la questione curda, della questione cipriota, dei
diritti umani, delle torture, nelle piscine femminili e altrove,
questo progetto presenta parecchi altri aspetti se non oscuri
senz’altro poco convincenti.
Taluni sostengono entusiasticamente che l’ingresso della Turchia
consentirà solidi progressi di varia natura geopolitica,
socioeconomica e finanziaria di cui tutti potranno fruire. Quali
vantaggi esattamente? Tutti chi esattamente? Altri ancora affermano
che non si possa e non si debba assolutamente abbandonare la Turchia
a sé stessa, correndo il rischio che essa sia infine travolta dal
peggiore fondamentalismo islamico a vocazione terroristica
globalizzata. Altri ancora sostengono che in ogni modo Europa e
Turchia assieme saprebbero realizzare cose eccelse mai viste prima
d’ora.
Chi e che cosa esattamente impedirebbe a un nuovo eventuale tandem
euro-turco di conseguire esattamente, ripeto esattamente, gli stessi
favolosi risultati senza che l’attuale Unione Europea sia obbligata
ad accettare la Turchia quale nuovo membro?
Sia chiaro, qui nessuno nutre alcuna antipatia personale o speciale
malevolenza nei confronti della Turchia o dei turchi – e lei nemmeno,
penso. O sbaglio?
Qui si tratta solo di chiarire alcune cose fondamentali. Innanzi
tutto è una questione di principio.
È ovvio: l’Europa deve cercare di aiutare gli altri paesi meno
fortunati. Ci mancherebbe altro che rifiutassimo di impegnarci in tal
senso solo perché memori di certe incaute imprese compiute dagli
antenati degli attuali popoli ottomani, o perché turbati dalle gesta
di certi Sultani che avevano il gioioso vezzo di fare strozzare o
altrimenti assassinare i loro stessi figli e fratelli? Come ad
esempio fecero tale Maometto I Sultano (1387-1421) allorquando ordinò
l’eliminazione dei suoi fratelli Musa e Solimano? Oppure come l’altro
ancor più feroce settimo Sultano, alias Fatih il conquistatore
(1430-1481) il quale organizzò l’annegamento del proprio fratello
Ahmed ancora lattante? Lo stesso che, dopo avere distrutto l’impero
di Trebisonda, fece pure strozzare il proprio figlio primogenito?
Oppure come il tredicesimo sultano (1566-1603) il quale, non appena
salito sul trono, dopo la morte del padre Murad III, provvide a fare
strozzare tutti i suoi fratelli (tranne uno sfuggito miracolosamente
alle mani del carnefice), completando poi l’amorevole opera con
l’uccisione del proprio figlio Maometto?
Eh no, Onorevole Bertinotti, ci mancherebbe altro che oggi noi ci
lasciassimo fuorviare da simili storielle d’altre epoche.
Qui nessuno vuole in alcun modo impedire l’ulteriore progresso della
Turchia. Qui nessuno si sogna di affermare che la Turchia, come tale,
possa costituire seria minaccia per l’Unione Europea. Tutt’altro!
Io personalmente, le assicuro, quanto più approfondisco questo
argomento, tanto più mi convinco che vi siano non una, bensì due
doverose considerazioni da fare a riguardo degli ipotetici pericoli
conseguenti l’eventuale adesione turca: se mai l’Europa dovrà
difendersi dalla invasione turca, allo stesso modo la Turchia dovrà
difendersi dall’evasione europea.
Innanzi tutto non bisogna dimenticare le gravissime crisi
istituzionali, finanziarie e economiche che la Turchia ha vissuto
negli ultimi cinque anni, con ripetuti fallimenti del sistema
bancario e successivi salvataggi grazie agli aiuti, a suon di
svariati miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale,
eccetera.
Insomma, per non farla troppo lunga, la Turchia non esibisce ancora,
nemmeno oggi, le cosiddette “fondamentali” premesse macroeconomiche,
da cui poter intraprendere un reale percorso di progresso sociale e
di crescita economica. Ma non tanto per cattiva volontà. Soprattutto
perché è l’occidente stesso a volerle imporre un modello
istituzionale, giuridico, socioeconomico, finanziario e produttivo
che le è sostanzialmente estraneo e conflittuale.
Non sarà certo, come vorrebbe appunto fare l’attuale Commissione
Europea, estendendo qualche favore di natura assistenzialistica, che
la Turchia riuscirà a superare le attuali difficoltà di crescita,
sino a qualificarsi pienamente per l’adesione alla Ue.
Non sarà certo entrando nelle stanze dei bottoni, acquisendone gli
stessi diritti al voto in Commissione e nel Parlamento Europeo, che
la Turchia riuscirà a trasformarsi in meglio, ovvero a compiere quel
miracolo che è incompatibile con tutte le loro tradizioni e costumi.
A casa propria ognuno deve potere mantenere le proprie identità
culturali e conseguenti stili di vita.
Non è certo cosa elegante lasciar credere al vasto pubblico europeo
che, quand’anche si procedesse con gli scenari proposti, la questione
diverrebbe di concreta attualità solo fra 15 o 20 anni. Nulla di più
inesatto e ingannevole! L’Unione ha già sborsato e sta tuttora
sborsando fior di quattrini per mandare avanti questo piano: circa
440 milioni di euro per il periodo 1995-1999 e ben 2500 milioni di
euro per il periodo 2000-2003!
Così, mentre qui al nord Italia, oltre alle migliaia di aziende che
sono già state annientate o “delocalizzate” negli ultimi anni, se ne
stanno chiudendo molte altre ancora – vedi fra gli ultimi casi citati
recentemente la Zoppas di Treviso o l’Alfaromeo di Arese, con il
conseguente licenziamento di migliaia di fedeli lavoratori, per la
cui difesa è stato fatto poco o nulla, mentre nelle stesse regioni
già invase da migliaia di clandestini, oggi i soliti geniali
industrialoni nostrani pretendono l’arrivo di altri duecentomila
nuovi volenterosi immigrati.
Onorevole Fausto Bertinotti, mi auguro ardentemente che anche Lei
vorrà unirsi a noi in una sincera e onesta battaglia in difesa dei
Popoli Europei. Quelli veri.
–Boundary_(ID_ntaeTI+VBQrUw+6bBdcqlw)–