Il Manifesto, Italia
14 Febbraio 2008
Un «polar» versione Guediguian
«Lady Jane»: un segreto tra vecchi amici, omicidi a catena, vendetta
e sullo sfondo Marsiglia. In concorso la prova «di genere» del
regista francese
Antonello Catacchio
Berlino
Robert Guediguian s’inoltra nel territorio per lui inedito del
polar. Non è un fanatico del genere, per sua stessa ammissione, anche
se amava il Gabin invecchiato nei film anni ’60. Ancora una volta lo
incuriosiscono i personaggi e il loro modo di interagire. Tutto ha
inizio qualche decennio fa a Marsiglia, quando i Rolling suonavano
Lady Jane e un terzetto di sconosciuti, perché delle maschere
nascondono i loro volti, riempiono di pellicce gli abitanti di un
quartiere popolare. Eccentrici e novelli Robin Hood. Subito però
l’azione si sposta ai nostri tempi. Una donna che gestisce una
profumeria dal nome Lady Jane, ha un tatuaggio con lo stesso logo.
Scopre che suo figlio è stato rapito e per questo le viene chiesto un
riscatto. Non le passa per la zucca di rivolgersi alla polizia, cerca
invece aiuto presso un paio di amici che non vede da tempo. Di
momento in momento la situazione precipita e si chiarisce. Così come
si chiariscono i rapporti del terzetto, uniti da un segreto e che per
questo non si sono mai più incontrati sino alla nuova emergenza. In
chiusura Guediguian piazza un proverbio armeno che sottolinea come la
vendetta non porti da nessuna parte, perché tutti i disastri che si
susseguono sono proprio legati a questo comportamento senza sbocco se
non quello di un nuovo capitolo di violenza. Un omicidio tira
l’altro, come le ciliegie. Ma il gusto è molto più amaro. Il colpo
d’arma da fuoco dura un attimo, fa sussultare, ma soprattutto l’eco
che lascia rischia di non spegnersi, mai. Guediguian non appare del
tutto a suo agio nell’affrontare un film di genere, seppure molto
caratterizzato dalla sua sensibilità personale. Lo interessano
momenti particolari come la visita all’anziano boss del vecchio
quartiere, uomo che ha perso tre figli e mentre lo racconta sembra si
parli di fiction perché alla parete c’è un manifesto cinematografico
con tre volti. Eppure la secchezza con cui vengono risolte alcune
situazioni è davvero efficace e segna l’apporto singolare di un
regista che si avventura in questo tipo di rappresentazione. I
paesaggi del sud della Francia, il Mediterraneo dolce e gli uomini
che si agitano come formiche impazzite per complicarsi la vita o
semplicemente per viverla. E il piacere del cinema di un tempo viene
anche rispolverato attraverso uno strumento che da tempo sembrava
scomparso: quel piccolissimo manganello da tasca che dato
ripetutamente sulla zucca riesce a renderla più malleabile. Ma, come
diceva Simon Signoret, la nostalgia non è più quella di un tempo.
vio/14-Febbraio-2008/art63.html
From: Emil Lazarian | Ararat NewsPress