Libero-News, Italia
27 / 3 / 2009
Nel rogo di Smirne la tragica fine del sogno armeno
Cultura | Caterina Maniaci
«Il grande tormento, l’angoscia vera del popolo armeno,
è quello di sapere che non si può più tornare
alla Patria Perduta, che non c’è scampo: è l’esilio, la
diaspora, il suo destino». Antonia Arslan è a Roma, a
presentare il suo ultimo romanzo, La strada di Smirne (Rizzoli,
pp. 280, euro 18,5), uscito poco più di un mese fa e giÃ
giunto alla terza edizione. Lo fa nel Centro culturale, creato da poco
tempo, presso il Pontificio collegio armeno, nel cuore della capitale,
e cerca di spiegare perché le tragedie e le storie di una
famiglia armena, decimata dal genocidio perpetrato dai turchi nel 1915
– e finora sempre negato come realtà storica – contro questo
popolo di origini antichissime, fieramente cristiano, pacifico e
lavoratore, hanno conquistato schiere di lettori, non solo in Italia,
in Europa e nel mondo intero. Il suo precedente romanzo, La masseria
delle allodole, è diventato un vero e proprio caso letterario,
alla sua uscita nel 2004. E da allora i lettori chiedono, insistono,
vogliono sapere che cosa accadrà ai superstiti della famiglia
di Sempad e Shushanig, ai loro figli e nipoti, che poi sono i nonni, i
prozii, gli zii e i cugini della stessa autrice. Non rimarranno delusi
da questo secondo capitolo della saga. La strada di tutti quei
personaggi conosciuti attraverso le pagine della Masseria
porterà in Italia, in America, e per molti altri – amici,
parenti, benefattori – porterà appunto a Smirne, cittÃ
grande e bellissima, che si spegnerà nel rogo dell’estare del
1922: in quel tragico incendio moriranno a migliaia, greci, armeni,
anche turchi, e in quelle fiamme bruceranno le ultime illusioni e
speranze di ricostruire, per gli uni e per gli altri, una nuova vita
in una nuova e ritrovata patria.
Il segreto di tanto successo e partecipazione, forse, allora, sta
proprio in quel continuo intrecciarsi di Storia – terribile, accanita,
impietosa – con le tante, infinite storie, di uomini, donne, bambini,
scaraventati in terre lontane, ostili, o semplicemente straniere,
differenti. Ã? la forza delle radici negate, ma prepotentemente
sepolte nell’animo, della voce mormorante dei ricordi, di una patria
solo intravista, sognata o immaginata. Qualcosa che, forse, non
è solo `armeno’, ma ancestrale e impresso in tutti. Ã?
come ascoltare, certo in una tonalità più profonda e
tragica, la voce di qualche nonna che racconta, che ricorda,
un’immagine sempre più sbiadita ed estranea, per i ragazzi di
oggi, ma che conserva intatto il suo fascino. Il tutto attraverso un
linguaggio lussureggiante, lirico, dal sapore orientale, e insieme
robusto, fatto di materia, di sangue e di vita.
Certo, nella Strada di Smirne rimane intatto il senso della
testimonianza, come sottolinea Antonia Arslan: «La ferita del
genocidio rimane aperta, e non solo per gli armeni, per l’Europa, per
gli stessi turchi». Turchi che continuano a negare la
realtà della strage e, così facendo, negano una parte
della loro stessa storia e identità . Ma il viaggio continua. La
Arslan annuncia che ci sarà un terzo romanzo, ambientato in
America. E sarà il capitolo della speranza.
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