L’amore per lo studio, la conservazione di un patrimonio culturale inestimabile, la diffusione e declinazione contemporanea di uno stile ecumenico.
Ci sono almeno questi tre pilastri a tenere in piedi, oggi e in vista del domani, la congregazione dei padri Armeni Mechitaristi.
Sono tre pilastri che affondano le radici nel passato, ma guardano decisamente al futuro. Proprio come aveva fatto Mechitar di Sebaste, l’abate armeno che tre secoli fa diede vita ad un’esperienza monacale che in laguna di Venezia, nell’isola di San Lazzaro, ha avuto il suo cuore.
Il monaco Mechitar era stato un innovatore e i religiosi della congregazione da lui creata possono oggi, a distanza di tre secoli, trovare i modi per declinare nel presente la spinta innovatrice ed evangelizzatrice del fondatore.
Ne è convinto mons. Lévon Boghos Zekiyan, 73 anni, arcieparca di Costantinopoli e delegato pontificio per la Congregazione mechitarista, nonché presidente della Conferenza episcopale di Turchia. Mons. Zekiyan ha un legame molto forte con Venezia, non solo perché a lui è affidata la congregazione che ha il suo centro storico a San Lazzaro, ma anche perché dal 1955 vive e opera nel territorio lagunare.
Era un ragazzino, infatti, Lévon Boghos Zekiyan quando arrivò per la prima volta a Venezia, per studiare. E qui è rimasto, fino all’ordinazione episcopale, insegnando per molti anni lingua e letteratura armena a Ca’ Foscari.
Ma oggi che si celebrano i trecento anni da quando – l’8 settembre 1717, Mechitar e i suoi discepoli si insediarono nell’isola di San Lazzaro, concessa loro dal doge – si tratta di portare avanti e innovare la sostanza di questa storia tri-secolare.
Tutto ciò anche per garantire la continuità della presenza dei monaci. Oggi la congregazione ne conta solo 24, molti meno dei circa 80 di cui disponeva a metà del Novecento. La crisi delle vocazioni, certo, non è un problema che si pone solo per i Mechitaristi: tutte le famiglie religiose, sia pure con numeri e modalità diversi, ne sono afflitte.
Ma proprio perciò si tratta di dare linfa attuale alla ricchezza che il carisma di Mechitar ha generato. Un dottore della Chiesa armena, ricorda l’arcivescovo Zekiyan, dice che l’amore per lo studio è immagine dell’amore di Dio. E questo si fa chiaro a coloro che ne fanno esperienza. Questo amore per lo studio, per la conoscenza e la ricerca è tuttora una delle ragioni di fondo della missione.
A San Lazzaro, data la lunga storia, fa tutt’uno con la conservazione e la tutela di un grande patrimonio.
Sono più di 4mila, infatti, i manoscritti conservati. Dopo la biblioteca nazionale di Yerevan, la capitale dell’Armenia, San Lazzaro è lo scrigno di più ricco di documenti antichi: «E, dal punto di vista della varietà tematica – precisa il vescovo Zekyian – la collezione veneziana è la più importante in assoluto. Quindi è un tesoro. Perciò dico spesso che già solo poter conservare questo patrimonio, giovandoci di criteri e tecniche attuali, è una missione sufficiente per i nostri monaci».
Ma c’è un terzo “pilastro”, altrettanto e forse più essenziale per l’oggi: «Mechitar ha avuto, da anticipatore, una visione ecumenica della Chiesa. Ha precorso i secoli, sulla scia della tradizione della Chiesa armena».
Il monaco fondatore ha innestato, cioè, il nuovo sull’antico. E questo è proprio il risultato cui è chiamata la congregazione, trecento anni dopo, per mostrare la sua attualità.
Chiarisce mons. Lévon Boghos Zekiyan: «L’odierno ecumenismo si fonda sulla distinzione fra la sostanza della fede e il linguaggio che esprime questa sostanza. Il linguaggio può variare, mentre la sostanza resta la stessa. Questo principio Mechitar lo sostenne apertamente ed esplicitamente. Perciò credo che la congregazione, da questo punto di vista, abbia una missione particolare nel dialogo ecumenico, che possa essere fruita come modello per la Chiesa universale. La congregazione stessa è un vissuto concreto ed esistenziale di questo principio ecumenico».
E Venezia non è estranea alla genesi e alla vitalità di questo stile ecumenico: «È una mia ipotesi – sostiene l’arcivescovo armeno di Costantinopoli – ma sono convinto che Mechitar non sarebbe potuto sopravvivere, con questo ideale ecumenico, in quell’epoca post-tridentina, se non fosse stato a Venezia».
Giorgio Malavasi