Ponte tra Asia ed Europa, l’Armenia è ancora oggi un Paese immeritatamente poco conosciuto. Solo negli ultimi anni il turismo ha cominciato a considerare anche questa nazione, le cui vicende hanno molto da insegnarci: in particolare l’ostinazione a rimanere legati alle proprie radici, linguistiche e religiose, ritenute indispensabili a mantenere un’identità di popolo, sfuggendo al pericolo dell’assimilazione.
Giunge perciò a proposito, edita da Terra Santa e a cura di Alberto Elli, esperto di storia e lingue antiche, Armenia, una guida che vuole essere un aiuto a quanti decidono di compiere un viaggio sull’altopiano armeno, portandoli a comprendere un aspetto fondamentale di questa cultura: l’identità cristiana, coraggiosamente difesa in un ambiente in cui la pratica religiosa non è molto diffusa, soprattutto dopo la dominazione sovietica. Si sono pertanto volute privilegiare quelle informazioni che permettono al turista interessato di “capire” il popolo armeno e il suo patrimonio.
A una parte introduttiva contenente elementi fondamentali di storia (con la triste pagina del genocidio), di religione (la millenaria Chiesa armena e il monachesimo) e di cultura (arte, architettura e lingua), fa seguito la descrizione dettagliata di oltre quaranta siti scelti oculatamente tra le decine che la piccolissima Armenia offre.
Imbarazzato a mia volta a indicarne almeno uno per l’itinerario di turno, mi sono risolto a scegliere la fortezza di Garni (III-II secolo a. C.), situata a quasi 1400 metri di altitudine e a circa 28 chilometri dalla capitale Yerevan, all’estremità Sud-Occidentale del villaggio omonimo. Residenza estiva degli antichi re armeni munita di mura e di torri, conserva all’interno del suo perimetro resti di edifici civili e religiosi di enorme interesse architettonico e artistico: primo fra tutti il magnifico tempio in stile ionico-romano, simbolo dell’Armenia pre-cristiana e, assieme al vicino monastero di Geghard, una delle principali attrazioni turistiche del Paese.
Fu fatto costruire da re Trdat I (nome impronunciabile, che noi italiani abbiamo trasformato in Tiridate) dopo il 66 d.C., al suo ritorno da Roma dove aveva ricevuto la corona di sovrano d’Armenia direttamente dalle mani di Nerone. All’inizio del IV secolo, quando il cristianesimo divenne la religione di Stato degli armeni, esso sopravvisse alla distruzione degli altri templi pagani, forse perché trasformato in residenza estiva per la sorella di Tiridate III, Khosrovadukht (altro nome che inceppa la lingua). Unico edificio del mondo greco-romano oggi esistente più a Oriente, era ancora intatto quando nel 1679 un devastante terremoto lo ridusse ad un ammasso informe di rovine, malgrado la sua robustezza assicurata da grappe metalliche tra pietra e pietra. Nel XIX secolo, causa il rinnovato interesse per il sito, iniziarono i primi scavi archeologici e tra il 1969 e il 1975 lo storico dell’architettura Alexander Arami Sahinian pose mano alla sua ricostruzione integrale, riutilizzando fino all’80 per cento del materiale originale.
Il tempio si erge isolato sull’orlo di un promontorio triangolare che sovrasta il burrone del fiume Azat e le montagne di Gegham, la cui sola vista grandiosa merita il viaggio. È un periptero, circondato cioè da un portico colonnato di sei colonne sulle facciate corte e otto sulle lunghe. L’alto podio e la fronte dalla lunga scalea conferiscono maestosità all’edificio, interamente costruito in basalto grigio proveniente da cave locali (in grigio più chiaro le parti di restauro).
Ognuno dei ventiquattro capitelli è decorato in modo diverso; ricche decorazioni fregiano anche architravi, cornici e il soffitto del portico. Se il colonnato rispecchia l’ordine ionico-romano, la cella appare legata alle tradizioni architettoniche armene: invece di avere il tetto di legno, come tutti i templi greco-romani, presenta una volta a botte di pietra con un’apertura che, insieme all’ampio ingresso, fornisce luce all’ambiente. Sulla parete di fondo, all’interno di un tabernacolo con frontone, vi era la statua di culto: probabilmente Mihr, il dio del sole della mitologia armena, equivalente al Mithra iraniano.
Sulle origini e sulla funzione di questo singolare monumento, struttura aliena sul territorio armeno, non tutti gli studiosi sono d’accordo.
Secondo alcuni non era un vero tempio, ma la tomba dello stesso primo Tiridate o di un altro re armeno romanizzato: lo proverebbe la costruzione nel VII secolo, sul suo lato occidentale, della chiesa bizantina di Surb Sion, del tipo a pianta centrale con cupola, distrutta anch’essa dal sisma del 1679 (ne restano i ruderi). Non sarebbe stato più agevole e meno dispendioso trasformare il tempio pagano in cristiano, com’era successo in altri casi del genere? Se il monumento venne risparmiato, fu forse per rispettare quello che appariva un mausoleo funebre.
L’incertezza permane. Ad ogni modo il grande piazzale davanti al tempio (continuiamo a chiamarlo così) è oggi utilizzato per concerti e altre manifestazioni: come quelle che, a marzo e a luglio, vedono affluire in questo sito, considerato il loro santuario, i cosiddetti hetani o arordi (figli di Ari), ovvero i seguaci del neopaganesimo armeno, dottrina antecedente gli inizi del XX secolo, ma istituzionalizzata solo dopo il collasso dell’Unione Sovietica.
Altre attrattive segnala la guida di Alberto Elli a Garni: «Scendendo nella gola del fiume Azat, ci si viene a trovare nella Riserva Statale di Khosrov. Sulle pareti perpendicolari del canyon è possibile ammirare una splendida formazione rocciosa: un impressionante insieme di regolari colonne di basalto, a sezione esagonale, simili a canne d’organo (donde il nome “Sinfonia delle pietre” con cui è nota), paragonabile a quelle della Giant’s Causeway, nell’Irlanda del Nord, e di Fingal’s Cave, in Scozia».
Questi spettacolari effetti dell’intensa attività vulcanica della zona in epoche remote si devono al raffreddamento della lava a contatto con l’aria o con l’acqua.
E ancora, stavolta meta di pellegrinaggi cristiani: «Posto in fondo a una profonda gola del fiume Azat, in un’area di grande bellezza naturale, nel comune di Geghard, l’omonimo monastero (più precisamente Geghardavank) è in assoluto uno dei luoghi più affascinanti dell’Armenia, giustamente famoso per la sua peculiarità architettonica, essendo in parte costruito e in parte scavato nella roccia della montagna adiacente. Splendido esempio di fondazione monastica medievale, dal 2000 fa parte della lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco».