GIORNALISTA CONDANNATO PER OFFESA A IDENTITA’ TURCA ; DOPO CASO PAMUK, CONDANNA DELL’ARMENO DINK PER OPINIONI
ANSA Notiziario Generale in Italiano
8 Ott, 2005
ANKARA
(ANSA) – ANKARA, 8 OTT – Il giornalista di origine armena, ma di
cittadinanza turca, Hrant Dink, e’ stato condannato a sei mesi di
reclusione, con la condizionale, da un tribunale turco in base ad
una legge che punisce “le offese all’identita turca” per alcuni
articoli sulla sua rivista bilingue turco-armena Agos sulla memoria
del “genocidio degli armeni” del 1915-16.
Il giornalista ha gia’ annunciato che ricorrera’ in Cassazione ed
alla Corte europea dei diritti umani contro la sentenza che ripropone
il problema della persistenza nel codice penale turco di norme che
criminalizzano le opinioni, come avviene nel caso dello scrittore
turco Orhan Pamuk che sara processato nei prossimi mesi solo per
avere dichiarato che “un milione di armeni furono uccisi” all’epoca
degli ultimi governi ottomani.
Nel caso di Dink la corte ha ritenuto offensiva per la identita’ turca
una frase scritta dallo stesso giornalista in cui egli invitava gli
armeni a dimenticare il passato dato che la loro inimicizia verso i
turchi avrebbe – secondo Dink” “un effetto velenoso nel vostro sangue”.
Secondo una giornalista della stessa Agos, Karin Karakash, la corte
avrebbe “male interpretato e decontestualizzato la frase” come se
Dink avesse voluto dire che il sangue turco e veleno.
Il giornalista e’ gia’ sotto un altro processo, con la medesima accusa,
per avere criticato come “discriminatorie” sia la strofa dell’inno
nazionale turco in cui si dice “sorridi alla mia eroica razza”
e il giuramento che gli studenti sono chiamati a fare ogni giorno:
“Felice e’ colui che si dice turco”.
La Turchia ha cominciato il suo negoziato di adesione all’Unione
europea il 3 ottobre scorso e l’Ue ha gia’ chiesto al governo di
Ankara, sulla base dei processi a Pamuk e a Dink, di eliminare
dal codice penale turco (gia’ riformato di recente sulla falsariga
delle indicazioni dell’Ue) quegli articoli che si prestano ad una
criminalizzazione delle opinioni.