Aznavour: Questa volta canto il meglio e il peggio della banlieue

Repubblica , Italia
22 maggio 2007

Aznavour: "Questa volta canto il meglio e il peggio della banlieue"

Il grande artista compie 83 anni e si regale un disco impegnato,
"Colore ma vie"
"Volevo una musica che addolcisse il problema, me l’ha insegnato
Trenet"

di GINO CASTALDO

ROMA – In rete gira un filmato che ritrae Charles Aznavour mentre
registra il suo nuovo disco nei leggendari studi Egrem, a Cuba,
insieme a Chucho Valdez. Nessuno direbbe che ha 83 anni (li compie
proprio oggi). Sembra un ragazzo, divertito, appassionato, attratto
dal ritmico virtuosismo del pianista cubano. E non basta. Il nuovo
disco, Colore ma vie, in uscita in Italia venerdì prossimo, inizia
con una terrificante visione del pianeta che agonizza, titolo La
terre meurt, la terra muore. Con 100 milioni di dischi venduti alle
spalle, e circa ottocento canzoni scritte, Aznavour ha aspettato fino
ad oggi per incidere il suo disco più impegnato. Ma il tono è quasi
sempre caldo, musicale, caraibico. "Volevo una musica che addolcisse
il problema" ha raccontato, "e questo me l’ha insegnato Charles
Trenet, il mio maestro. Lo conobbi nel 1937 e lui mi disse che aveva
scritto la musica per Je Chante più allegra possibile perché
l’argomento era troppo drammatico".

Shahnour Vaghinagh Aznavourian, al secolo Charles Aznavour, parigino
purosangue, ma armeno d’origine, come non smette mai di ricordare
("vengo da una famiglia scampata a un massacro, che ha fatto un lungo
giro per sbarcare probabilmente a Marsiglia, non l’ho mai saputo con
certezza, e questo mi ha segnato per sempre"), è una memoria vivente
della cultura francese. Oltre a Trenet ha lavorato con Edith Piaf, ha
recitato per Cocteau e Truffaut, ha portato nel mondo la canzone
francese come un persuasivo e avvolgente ambasciatore e le sue
canzoni le hanno cantate praticamente tutti, da Fred Astaire a Elvis
Costello. Ha cantato in sei lingue (oltre al francese, in inglese,
italiano, spagnolo, russo e tedesco) e, curiosamente, mai in armeno
anche se alla sua terra d’origine dedica uno dei pezzi più belli del
disco, Tendre Armenie, in cui si sente il duduk, una specie di oboe
armeno, e un soffuso struggimento sentimentale.

Nel nuovo disco se la prende con tutti. Ai politici, di destra e di
sinistra riserva parole poco incoraggianti ("non ci sono che loro a
parlare la lingua della menzogna. Preti, politici, militari, attori,
artisti, cantanti, ce ne sono che riscrivono la loro vita, che la
rendono più infelice o più bella. Io racconto la vita com’è"). E nel
raccontarla questa volta ha scelto temi provocanti. In un pezzo, Moi
je vis en banlieue, solleva il problema delle periferie che affligge
Parigi, ma ci mette toni di speranza, evoca una pacifica convivenza,
nel testo si mette nei panni di un ragazzo emigrato ("volevo far
capire a quelli che condannano e basta e a quelli che giustificano e
basta come nella banlieue ci sia il meglio e il peggio"). Non usa
mezze misure: "Io sono un crooner che urla" dice, e ammette una vena
provocatoria che, a ben vedere, è sempre stata presente nel suo
lavoro.

Parlava di omosessuali (Comme ils disent) quando nelle canzoni non si
usava, parlava di amori al capolinea con un senso di verità che al
perbenismo anni cinquanta e primi sessanta garbava poco e infatti
qualche volta le sue canzoni erano bandite dalle radio. Una di queste
Tu te laisses aller, tra le più belle del suo canzoniere storico,
trova nel nuovo disco una imprevista continuazione in La fête est
finie. Poi c’è Il y a des femmes, omaggio al mondo femminile più in
linea con una consistente parte del suo repertorio (in fondo She, è
una delle canzoni più amate al mondo, cantata da innumerevoli
interpreti), e lasciando spazio a una intensa dedica a se stesso, in
una sorta di testamento artistico che si intitola J’abdiquerai.

Alla sua età non si possono evitare bilanci, e di sicuro la cosa che
più lo interessa oggi è essere riconosciuto come autore:
"Assolutamente sì, arrivederci all’attore e al cantante. Io sono
soprattutto un autore, e se non fosse stato così non avrei potuto
cantare alla mia maniera". Per la sua gioia qualche anno fa è stato
ammesso nella speciale sezione della Hall of Fame dedicata agli
autori. Ma in Francia manca una parola adatta. Aznavour lamenta la
mancanza di una esatta definizione, qualcosa come chansonwriters, e
forse non sa che la canzone italiana, che tanto deve a quella
francese, un termine l’ha trovato, che poi è quello di cantautore.

Ma il battagliero Aznavour è ancora affamato di vita, di viaggi, di
lavoro, di musica, e se proprio lo si costringe nell’angolo a
definire il suo percorso artistico dice: "Se mi guardo allo specchio
la mattina mi dico: per essere un ragazzo che ha lasciato la scuola a
dieci anni, te la sei cavata abbastanza bene, scrivi piuttosto bene".
E questo è tutto.