Defense Army serviceman posthumously awarded with “For Service in Battle” medal

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Artsakh
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On October 19 President of the Artsakh Republic Bako Sahakyan signed a decree on posthumously awarding serviceman of the Artsakh Republic Defense Army’s N division Tigran Khachatryan with “For Service in Battle” medal for bravery shown during the defense of the Artsakh Republic state border, press service of the President’s Office reported.

Yerevan Show 2017 int’l jewelry exhibition kicks off in Armenia

Panorama, Armenia
Oct 5 2017

Yerevan Show 2017 International Jewelry & Watch Exhibition has kicked off today in Yerevan, Armenia, bringing together prominent jewelry companies, professionals, individual entrepreneurs and representatives of the commercial networks.

70 jewelry companies from six states – Armenia, Belarus, Switzerland, U.S., Turkey and Russia present their works at the exhibition hosted by the Meridian Expo Centre located at the free economic zone area.

Professionals from Iran, UAE, Poland and the EAEU members states have been invited to take part in the event which showcases jewelry made from gold and diamonds, religious jewelry, watches and other expensive works.

The expo will run until 8 October. For the eight year already Yerevan Show 2017 International Jewelry & Watch Exhibition is organized by the Armenian Jewellers Association. The event is organized jointly with the Russian Restek company for two years already.

In the framework of the Yerevan Show jewelry exhibition, the opening of the Yerevan Fashion Week's third season will be held at Meridian Expo Centre.

Le prix Chirac honore la Fondation Hrant-Dink

Le Figaro, France
Vendredi 29 Septembre 2017
Le prix Chirac honore la Fondation Hrant-Dink

Il a été décerné, ce jeudi, à la Fondation Hrant-Dink, du nom de ce journaliste arménien de Turquie assassiné par un jeune nationaliste turc à Istanbul, en 2007. La Fondation Dink est récompensée « pour son action en faveur de la prévention des discours et des logiques de haine et d'exclusion », notamment en s'attachant à développer les relations interculturelles entre Turcs et Arméniens. Le prix Culture pour la paix est allé au directeur de théâtre libanais Omar Abi Azar, fondateur du collectif Zoukak. Cette troupe est présente dans les camps palestiniens et auprès des réfugiés syriens.

Culture: Jerusalem of Clay: For a century, locally made Armenian pottery has brought together the holy city’s major religions in a uniquely artistic way

Tablet Magazine

Aug 14 2017

Travel: Magazine about Armenia’s attractiveness to be distributed to LOT airline’s passengers for a month

Armenpress News Agency , Armenia
 Thursday


Magazine about Armenia's attractiveness to be distributed to LOT
airline's passengers for a month


YEREVAN, AUGUST 10, ARMENPRESS. A thorough article about Armenia, the
Armenian culture and cuisine has been published in the August issue of
the Kaleidoscope magazine which belongs to the Polish LOT airline,
reports Armenpress.

Armenia is the main topic of the magazine’s August issue.

The magazine will be distributed for free to thousands of passengers
of the airline for a month, it will be placed at different airports of
Poland by providing information about Armenia and its tourism
attractiveness.

Standart. Reportage dalla prima triennale d’Armenia

Artribune

5 agosto 2017

A fine luglio siamo stati in Armenia, per seguire la prima edizione di Standart, triennale in terra armena curata da Adelina Cüberyan von Fürstenberg. Una doppia coppia di mostre segna la prima tappa di questa nuova rassegna internazionale. Mentre a settembre inaugurerà la seconda tranche. Qui vi raccontiamo cosa è successo nella capitale Yerevan, mentre domani ci sposteremo a Gyumri.

Terra di contrasti, l’Armenia; popolo funestato da una storia che si è accanita, ma composto da persone intraprendenti e al tempo stesso votate alla poesia e alla mistica. Molti sono quindi i tratti che lo accomuna al popolo ebraico, dal genocidio alla diaspora.
Vicina politicamente all’Iran e alla Russia – pullulano le t-shirt col faccione di Putin – l’Armenia ospita, sulla strada che dall’aeroporto conduce alla capitale Yerevan, la più grande ambasciata statunitense dell’area caucasica: un enorme compound, con gigantesche antenne satellitari che svettano sui tetti. Ma i contrasti appaiono ancora prima, quando ci si appresta ad atterrare: quel monte magico, quella montagna sacra (qui, secondo la leggenda, approdò l’Arca di Noè) coperta da ghiacci perenni è l’Ararat, il simbolo dell’Armenia insieme al melograno. Ma dal 1921 i 5.137 metri del monte sono in territorio turco, e per di più l’odiato vicino – odiato a ragione: i “giovani turchi” sono i mandanti politici di una strage che ha causato un milione e mezzo di morti, con buona pace per quella corrente del PD che ha scelto di appellarsi in tal modo – l’ha classificato come zona militare: nessuno può salirci e nemmeno avvicinarsi.
Qualche tempo fa, il governo Erdogan ha preteso che l’Armenia la smettesse di utilizzarlo in ogni dove; la risposta è stata: “Se i simboli geografici sono di proprietà di chi li possiede sul proprio territorio, allora togliete la Luna dalla vostra bandiera”. Uno a zero, palla al centro.

Nella capitale del Paese si è da poco inaugurata la prima sezione della prima parte di una nuova triennale. Si chiama Standart e si svolge in due tappe: a luglio hanno aperto le mostre di Yerevan e Gyumri, a settembre ci sarà un intervento urbano a Yerevan a opera di Felice Varini e una mostra sul Lago Sevan. A fare da trait d’union, i progetti presentati a Yerevan, Gyumri e Kapan dai vincitori della prima Open Call for Artists, promossa dall’Armenia Art Foundation con la cura di Sona Stepanyan: il collettivo Artlabyerevan, Ayreen Anastas & Rene Gabri, Arman Grigoryan, Piruza Khalapyan, Gohar Smoyan e Mika Vatinyan.
La curatela di questa prima edizione è stata affidata ad Adelina Cüberyan von Fürstenberg, coadiuvata da Ruben Arevshatyan. Un’operazione lineare, che punta a capitalizzare il premio per il miglior Padiglione nazionale vinto dall’Armenia alla Biennale di Venezia 2015, grazie alla mostra Armenity curata proprio da Adelina von Fürstenberg. A sostenere il progetto, un collettivo di soggetti capitanati dall’AAC – Armenian Artes Council e composto – per citare i principali – dal Ministero della Cultura, da Art for the World, dall’Ambasciata Svizzera e dall’Armenia Art Foundation.
Il titolo, o sarebbe meglio dire il tema, è The Mount Analogue. A Contemporary Art Experience. Il riferimento è al romanzo “iniziatico” e incompiuto di René Daumal (1908-1944), intellettuale francese che nella sua breve vita ha attraversato i territori più diversi, dal Surrealismo (in accesa polemica con André Breton) con il gruppo Le Grand Jeu alla cultura indiana e buddhista, fino ad avvicinarsi agli insegnamenti di Georges Ivanovič Gurdjeff, mistico nato a Gyumri nel 1866. Quanto alla connotazione “esperienziale”, è relativa al processo con cui sono nate le opere, di cui vi parleremo nel secondo articolo dedicato a questa triennale.

Legittimamente, le due mostre presentate a Yerevan sono più istituzionali e fungono da biglietto da visita per la rassegna.
Ad aprire la triennale è la retrospettiva dedicata a Gaspar Gasparian (San Paolo, 1899-1966), fotografo modernista brasiliano con chiare origini armene. Curata da Ruben Arevshatyan e ospitata all’AGBU (organizzazione non profit il cui acronimo sta per Armenian General Benevolent Union), Distant Fragments (1941-1959) è allestita negli spazi di quello che, dal 1906 al 2000, era il Parlamento. Si tratta della prima mostra di tale portata in terra armena ed effettivamente si ha qui l’occasione di apprezzare in maniera compiuta l’opera di un artista che ha recepito in maniera autonoma e creativa le sperimentazioni in campo fotografico operate soprattutto in Europa e in Russia negli Anni Venti del secolo scorso. Le sperimentazioni formali sono mature e a Yerevan risuonano ancora più compiutamente quando si calano nell’architettura e negli spazi urbani, con tagli di luce e inquadrature che creano prospettive e punti di vista inattesi.
Funzionano particolarmente nella capitale armena perché, al di fuori di queste sale, c’è una città che è architettonicamente e urbanisticamente complessa, erede – talora suo malgrado – di una stratificazione che la percorre nel tempo e nello spazio. Senza risalire troppo indietro, basta tornare agli Anni Venti-Quaranta del XX secolo, quando la città fu radicalmente ridisegnata dai sovietici per una popolazione di 200mila abitanti.
Se lo sventramento hausmanniano è palese, e ci si duole della perdita di gran parte degli edifici Liberty precedenti, è tuttavia interessante notare come qui non si sia al cospetto della monumentalità neoclassica che imperava a Mosca o Leningrado: merito dell’architetto Alexander Tamanian, che molto ha lavorato in quegli anni a San Pietroburgo, ma che nella sua terra – era armeno di origini – ha unito con originalità il neoclassicismo sovietico a elementi locali (in primis l’utilizzo del basalto nero, di cui l’Armenia è ricchissima) e passioni individuali (soprattutto Palladio, e così si spiegano certe prospettive ottiche favorite da finestre dotate di intelligenti strombature).
Soltanto negli Anni Settanta sorgono i quartieri periferici, con enormi palazzi-alveari: l’obiettivo è raggiungere il milione di abitanti, soglia necessaria per poter costruire una metropolitana – e la capitale di una delle repubbliche dell’Urss non può non averla. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di un brutalismo talora declinato con sagacia nel colore locale: lo dimostrano le gigantesche vele in cemento dell’Arena Demircian, opera inaugurata nel 1983 sulla collina Tsitsernakaberd, la medesima che ospita lo Dzidzernagapert, il dignitoso memoriale del genocidio, inaugurato nel 1967, e il relativo museo ipogeo, aperto nel 1995.

Ilya & Emilia Kabakov (Dnipro, 1933 e Dnepropetrovsk, 1945) sono invece i protagonisti all’Hay-Art Cultural Center, l’ex museo d’arte moderna cittadino. Un luogo, ancora una volta, che dimostra come l’Armenia fosse una “provincia” assai atipica della galassia sovietica: fondato da Henrik Igityan nel 1972, fu infatti il primo centro d’arte dell’Urss specializzato in arte moderna e contemporanea. E, per di più, fu progettato da due architetti modernisti come Jim Torosyan e Gevorg Aramyan, il secondo dei quali sarà uno dei protagonisti della mostra allestita a settembre sul Lago Sevan.
Due i lavori presentati dai Kabakov, con un adattamento ai luoghi che li rendono ancora vivi e vivaci: 20 Ways to get an Apple listening to the Music of Mozart (1997) e Concert for a Fly (1986). Il primo consiste in una grande tavola apparecchiata sui quattro lati. A sinistra di ogni piatto, un disegno; a destra, un testo. L’uno e l’altro, con mezzi differenti, spiegano venti differenti maniere per raggiungere la mela che sta al centro, in “una piccola enciclopedia di tutti i possibili modi con cui appropriarsene”. Il segno è quello degli anni d’oro della coppia, la capacità di sintesi anche, in un allestimento che – pur in assenza degli artisti, per motivi di salute – è ineccepibile.
A pochi metri di distanza, è ancora Mozart, grande passione di Ilya Kabakov, a essere protagonista: il Concerto per una mosca, infatti, è sì un’installazione composta da dodici postazioni che formano un cerchio, guardando verso l’interno, con sopra ogni leggio un testo e un disegno; ma è anche – nella sua versione effimera e performativa – un vero e proprio concerto; e a suonare Mozart sono i giovanissimi musicisti della Tchaikovsky Special Music School di Yerevan, a conferma di un’eccellenza indiscussa in Armenia per la musica classica. Come a dire: sono sì opere storiche, ma scelte con cognizione di causa e rispetto per il contesto.

– Marco Enrico Giacomelli




To honor his uncle’s memory, young doctor wants to offer hope to those with cancer

UCLA Newsroom
July 28, 2017 Friday

Elaine Schmidt | July 28, 2017

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Courtesy Dr. Razmik Ghukasyan

Razmik Ghukasya, standing in center, celebrating Christmas with his late uncle, aunt and cousins.

When Razmik Ghukasyan received his acceptance letter to the David Geffen School of Medicine at UCLA, he and his family were ecstatic. But their celebration was cut short days later when his uncle was diagnosed with advanced pancreatic cancer.

During his first year of medical school, Ghukasyan frequently accompanied his uncle, Partev Kolanjian, to oncology appointments at another hospital. He was disturbed by the impersonal way his uncle’s doctors treated him, which differed sharply from what Ghukasyan was learning at UCLA about the importance of a compassionate doctor-patient relationship.

“In school, I was taught to develop a relationship with a patient, even when there is no hope,” Ghukasyan recalled. Everyone at UCLA is instructed that even simple things, like addressing patients as “Mr.” or “Ms.” and explaining in detail what procedures are happening and how long they’ll take, matter.

“Some of my uncle’s oncologists would not even look him in the eyes or acknowledge his concerns,” Ghukasyan said. “His experience gave me a lot of insight into the patient’s perspective and illustrated how important it is to personally connect with my patients and respond to their questions with respect.”

Discouraged by his doctors’ lack of support, his uncle began exploring alternative therapies. The 48-year-old died eight months after his diagnosis, leaving behind a wife and two young children.

His death deeply affected Ghukasyan, ultimately shaping his future career. This month, the 27-year-old recent medical school graduate began a surgical residency at UCLA, where he plans to focus on surgical oncology with an emphasis on pancreatic disease.

“After witnessing pancreatic cancer’s impact on my family,” he said, “I am determined to find more targeted, effective ways to prevent and treat this very aggressive and deadly disease.”

Ghukasyan and his family are no strangers to adversity. Growing up in Armenia, Ghukasyan lived with his parents and extended family in the small town of Ejmiatsin. His family owned a factory in the Soviet Union, but lost their livelihood and savings after Armenia’s independence from the Soviet Union in 1991.

The Armenian economy plunged into chaos; war raged on the Azerbaijan border; supplies of food, medicine and clean water dwindled; and a Turkish blockade created a severe energy crisis. Armenian history books refer to this period as “the dark and cold years.”

“My brother and I slept in layers of clothes at night to beat the freezing winters, and kept our coats on at school because the classroom was so cold,” Ghukasyan said.

Trained as an economist, Ghukasyan’s father resorted to farming to feed the family. He began growing wheat so his mother and wife could grind the flour by hand and bake bread. By raising chickens for eggs and planting vegetables on their land, the family managed to eke out enough food for 10 people.

Everything changed when Ghukasyan turned 14.

“After trying for 10 years, my family won the green-card lottery and we immigrated to America in 2004,” he said. “None of us spoke or understood English, and we had limited finances.”

The family rented an apartment in North Hollywood, where his aunt and uncle had settled earlier. Entering Van Nuys High School as a sophomore, Ghukasyan was the only non-Spanish speaker in his English-as-a-Second-Language class.

“Six months after I arrived in the U.S., I started volunteering at Valley Presbyterian Hospital,” Ghukasyan said. “As the hospital began to feel like my new home, I recognized my desire to become a doctor.”

Driven by his aspiration to enter medical school, he quickly progressed from ESL classes to Advanced Placement. While math and science came easily, honors English and American literature did not.

“The first book we read was ‘The Scarlet Letter’ and I didn’t understand a word of it,” he admitted, laughing. “I pulled a C in the end, but it was the hardest grade I ever earned.”

Intent on entering UCLA, Ghukasyan caught up on the high-school curriculum during his senior year. When the university rejected his application, he still didn’t give up. Graduating high school with a 4.0 grade-point average, he persevered through two years at Los Angeles Valley College before transferring to UCLA as a junior.

At last, his hard work and discipline paid off. Ghukasyan graduated summa cum laude and finally realized his dream to enter medical school. Not only did the David Geffen School of Medicine at UCLA offer him admission, it also awarded Ghukasyan a Leader of Tomorrow scholarship covering all four years of his educational expenses.

“The scholarship inspired me to become a true leader in the innovation of health care delivery,” he explained. “That’s why I decided to complete a joint degree program in medicine and business.”

In June, he graduated from UCLA with a medical degree and a master’s in business administration from the Anderson School of Management.

In between patients, studying and classes, Ghukasyan also managed to squeeze in a social life. He met his fiancee, Dr. Lily Saringulian, during college and proposed to her last year. She is currently pursuing a pediatric residency at UCLA, and the two will marry in November.

As he launches his seven-year residency, Ghukasyan’s thoughts return frequently to his late uncle’s battle with cancer.

“Never will I be the type of doctor who tells my patients ‘there’s nothing we can do,’” he said. “I want to make an impact by contributing to the study and treatment of pancreatic tumors. Even when, statistically, there is no reason to hope, I will continue to advocate for my patients.”